Articoli tratti da ZeusNews
Trevor Eckhart, un programmatore statunitense, ha scoperto che su molti SmartPhone è installato un piccolo software – senza mezzi termini definito rootkit – il quale, all’insaputa dell’utente, registra tutto ciò che viene fatto con il dispositivo.
Il software in questione si chiama CarrierIQ e, ufficialmente, il suo scopo è misurare alcuni parametri chiave che serviranno agli operatori telefonici per migliorare la qualità del servizio offerto.
Il problema è che la presenza di CarrierIQ può venire nascosta: il software può essere modificato dai vari produttori affinché non sia visibile all’utente, e utilizzato per raccogliere una vastissima mole di informazioni, dai siti visitati alle applicazioni scaricate sino alle lettere digitate nella composizione degli SMS.
Al momento sembra che siano oltre 140 milioni gli smartphone che ospitano questo software: si tratta sia di dispositivi Android che degli iPhone di Apple.
Apple, dal canto proprio, ora che la notizia s’è diffusa ha fatto sapere che con iOS 5 il supporto a CarrierIQ è cessato, e che uno dei prossimi aggiornamenti provvederà a rimuovere completamente il software.
Inoltre sostiene di non aver mai conservato informazioni personali, ma solo i dati relativi alla diagnostica.
Nokia e RIM, invece, sostengono di non aver mai adoperato CarrierIQ, respingendo le dichiarazioni di Eckhart.
Per quanto riguarda l’Italia, della faccenda s’è interessato anche il Garante della Privacy: Francesco Pizzetti ha infatti affermato che intende approfondire la faccenda.
Non solo il “melafonino” ma anche Android dispone di una funzione simile.
Lo sviluppatore Magnus Eriksson ha infatti deciso di dare un’occhiata al proprio smartphone dotato del sistema operativo di Google e scoperto che anch’esso dispone di una tabella in cui conserva le informazioni sulle reti cellulari e Wi-Fi.
C’è tuttavia una fondamentale differenza tra il comportamento di Android e quello di iPhone: questo conserva per sempre tutte le informazioni raccolte; quello le cancella periodicamente (dopo 12 ore per i dati relativi alle reti cellulari, dopo 48 per quelli relativi alle reti Wi-Fi).
Il motivo della raccolta sarebbe semplicemente la generazione di una cache per i servizi di localizzazione: in questo modo la risposta alle richieste dell’utente avviene più rapidamente.
Ecco spiegato anche perché dopo un po’ i dati vengono cancellati: quelli utili sono soltanto quelli relativi alle ultime posizioni, non l’intera cronologia degli spostamenti.
Meno chiaro è a questo punto il motivo che spinge l’iPhone e l’iPad a conservare invece ogni cosa, tanto più che tali dati non vengono condivisi con Apple come avevano già spiegato gli scopritori del file, con buona pace di chi teme complotti.
Secondo John Gruber, il blogger di Daring Fireball, si tratta di un bug: originariamente creato con lo stesso scopo dell’omologo di Android, il database dei luoghi di iOS dovrebbe venire svuotato di tanto in tanto ma ciò non succede perché l’autore o non ha scritto il codice necessario o il codice non funzione.
In ogni caso, ora che la situazione è venuta alla luce, probabilmente il prossimo aggiornamento di iOS vi porrà rimedio.
Peraltro, secondo Magnus Eriksson l’elevata accuratezza dell’iPhone nel fornire la localizzazione sulle mappe sarebbe dovuta proprio all’enorme database di cui dispone: lavorare su una gran mole di dati consentirebbe allo smartphone di Apple di restituire risultati più precisi, anche se la privacy, per lo meno in teoria, ne soffre un po’.