Tratto da il “Fatto quotidiano” articolo scritto da Daniele Martini
C’è lo zampino di Massimo Ponzellini dietro il clamoroso fallimento della carta d’identità elettronica, un progetto lanciato 11 anni fa, che valeva la bellezza di 1 miliardo di euro e che avrebbe dovuto aumentare la sicurezza dei cittadini. I motivi dell’impantanamento erano rimasti sostanzialmente misteriosi fino ad oggi.
Nessuno riusciva a spiegare perché fosse finito in un cul de sac un programma così impegnativo, promettente e utile, lanciato dal ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, ma condiviso sostanzialmente da tutti. Ora Il Fatto scopre che l’iniziativa è finita alla deriva a causa di Ponzellini, appunto, l’allievo prediletto di Romano Prodi ai tempi dell’Iri, poi diventato presidente di Impregilo, uno dei colossi del mattone, e anche presidente della Banca Popolare di Milano e punto di riferimento degli affari e della faccende finanziarie della Lega Nord.
Dalla fine di maggio Ponzellini è agli arresti domiciliari per il finanziamento della Fondazione Fare Metropoli dell’ex presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati del Pd. E per l’accusa di associazione a delinquere per un altro finanziamento di 148 milioni di euro alla società dei giochi Atlantis di cui era procuratore il deputato napoletano Amedeo Laboccetta, ex missino, poi An e infine Pdl, e che fa capo a Francesco Corallo, figlio di Gaetano, pregiudicato per affari di criminalità organizzata.
Spalleggiato e consigliato da Antonio Cannalire, manager di Francavilla Fontana, pure lui arrestato, Ponzellini si inserisce da protagonista nell’affare della carta d’identità elettronica a metà 2007, proprio quando stava per finire il suo mandato di amministratore del Poligrafico dello Stato, l’azienda pubblica che avrebbe dovuto essere il perno dell’operazione carte elettroniche a cui stavano partecipando società del calibro di Siemens, Hewlett Packard, Bull e Finsiel. Ponzellini si mette di traverso perseguendo un obiettivo tutto suo: pilotare la commessa in modo da tirare la volata agli amici degli amici.
La Finmeccanica di Pierfrancesco Guarguaglini, in primo luogo, di sua moglie Marina Grossi e dell’influente capo delle relazioni esterne, Lorenzo Borgogni. E a seguire la Selex Sema (sempre Finmeccanica) di Sabatino Stornelli, amicissimo di Paolo Berlusconi e di Marco Milanese, consigliere dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, un manager che si è messo in mostra anche per un altro bell’affare, il Sistri, il sistema per la tracciabilità dei rifiuti che secondo molti è un bidone.
Il 22 maggio 2007, due giorni prima di lasciare il suo ufficio di amministratore del Poligrafico, quando ormai è sicuro che il capo del governo e suo ex amico Prodi non lo avrebbe riconfermato in quell’incarico, Ponzellini scrive una letterina di una pagina e mezzo a Borgogni che Il Fatto ha rintracciato.
Il tono è molto cordiale, ma la sostanza è l’inizio della fine dell’operazione carte elettroniche. Ignorando la necessità di affidare gli appalti tramite gare, Ponzellini dà per fatta la “partnership tra Finmeccanica e Poligrafico e naturalmente il ministero degli Interni e le Poste”, assicurando magnanimo “ampie soddisfazioni a tutti”.
Il successore di Ponzellini al Poligrafico, Lamberto Gabrielli, le gare invece prova a farle, ma inutilmente, anzi, alla fine ci rimette pure la poltrona. Forti di quella letterina di Ponzellini, i capi della Selex Sema-Finmeccanica innescano infatti un contenzioso aspro, dicono di aver già comprato macchinari e computer per il progetto delle carte elettroniche e quindi chiedono un risarcimento della bellezza di 23 milioni di euro. Si va davanti al Tar del Lazio che giudica insussistente la pretesa della Selex.
La faccenda, però, non finisce lì, con la lettera di Ponzellini brandita come un’arma, la società della Finmeccanica ricorre al Consiglio di Stato che bacchetta il Tar, dice che ha valutato male e invita lo stesso tribunale amministrativo ad emettere una nuova sentenza. Che manco a dirlo ribalta il primo giudizio, accoglie le rimostranze della Selex e manda in soffitta le gare avviate dal nuovo amministratore del Poligrafico.
Impiombato nei tribunali, il progetto delle carte finisce in un vicolo cieco, affidato di nuovo senza gara a una società privata, una certa Nestor, partecipata dall’Università Tor Vergata, che ogni anno continua a incassare un bel po’ di soldi pubblici. Con le carte sprofonda nel limbo anche il piano per i permessi di soggiorno elettronici.
Un programma che interessa molto gli Stati Uniti, preoccupati che l’Italia possa diventare un facile canale di transito per i terroristi internazionali che vogliono colpire gli Usa. L’ambasciatore americano a Roma, David Thorne, ha sollecitato più volte il governo italiano a non trascurare l’affare. Lo ha fatto il 24 novembre 2009, il 20 luglio 2011 e il 2 maggio 2012 con tre lettere ufficiali inviate ai ministri dell’Interno Roberto Maroni e poi Anna Maria Cancellieri. Non ha ottenuto risposta.